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 Nr.8 del 02/04/2007
 
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Francesco Braghini: ''Chèl poc che gh'è restàt''
Aforismi. proverbi, modi di dire, massime, sentenze annotati da Francesco Braghini percorrendo valli, montagne, pianura e colline, cioè il territorio bresciano che si estende da Pontedilegno a Pontevico e da Desenzano a Chiari


   Francesco Braghini



  


Braghini, che è stato maestro ed è ancora abile chitarrista, ha preso diligentemente nota qualche volta cogliendoli al volo, ed ha raccolto materiale per il libro che ha intitolato "Chèl poc che gh'è restàt" che - per chi non ha famigliarità col dialetto bresciano - letteralmente significa "quel poco che è rimasto" della civiltà del nostro passato prevalentemente contadino. La fatica di Braghini è stata ricompensata dagli applausi del pubblico che ha affollato il salone Mario Piazza della Fondazione Civiltà Bresciana di vicolo San Giuseppe, 5, in centro a Brescia, con la richiesta di autografi sulla prima del volume che Elena Alberti Nulli definisce "vangelo contadino dipinto coi pastelli/che ci rincorre ci commuove e chiama/coi campanelli allegri di mille sonaglierie".
Leonardo Urbinati non ha dubbi nell'affermare che il pregio della raccolta sta "nell'abbondanza di motti raramente uditi o ripetuti, accanto ai più noti e tradizionali" per considerare che "siamo sempre meno ad usare nel 'sermo quotidianus' vernacolare la vetustà e la saggezza dei tradizionali aforismi, né più si trova nella nostra campagne o nelle nostre valli un erede o un emulo di Bertoldo o della Marcolfa". Urbinati osserva ancora come "questa operazione nostalgico/filologica s'inserisce nei tentativi di revival (teatro, concorsi poetici, cantautori, circoli culturali etc.) che negli ultimi tempi s'infittiscono anche in territorio bresciano col nobile fine di salvare…dalla fine il salvabile della cultura dialettale".
Nelle prime pagine del lavoro Braghini spiega in rima musicata i "proèrbe" (proverbi) e divide la raccolta in capitoli, dai "mes e stagiù", agli indovinelli sul tempo che fa o che farà, ai mestieri, ad aspetti della città fino alle invocazioni "signur, proidenza, fede e speranza". Sono oltre mille proverbi. E le ultime pagine della pubblicazione sono libere per aggiungere altro di stretta tradizione ed in termini dialettali.


Franco Piovani


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