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domenica 28 aprile 2024 | 22:35
 Nr.4 del 08/03/2010
 
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La macchina del capo
''La pianura si chiama così perché i fiumi vanno più piano e non ci sono salite tranne quelle del cavalcavia per la stazione, però in compenso ci sono più campetti per giocare a calcio in piano''


  


Comincia così Marco Paolini, accompagnato dalla chitarra e dalla calda voce di Lorenzo Monguzzi (Mercanti di Liquore), al Teatro Odeon di Lumezzane. È il 23 febbraio e va in scena “La macchina del capo”, tutto esaurito. Il 24 febbraio stessa scena: teatro gremito per l'attore-autore-regista bellunese. Marco Paolini ha preso le storie più vecchie che ha raccontato: “Le ho prese dai primi Album, quelli su cui ho imparato questo mestiere che viene dal teatro, il mestiere di raccontare storie. In quei lavori ho imparato a dosare i personaggi e a mescolarli con il filo della storia, ad interpretare e narrare insieme”. Ha ricombinato le storie vecchie con episodi scritti nell'ultimo anno.
“In pianura si va a scuola. […] Dicono sbagliando s’impara, ma se non scancelli si accorgono!”
Paolini racconta d'infanzia non protetta da cordoni sanitari di adulti, di primo giorno di scuola, di campetti di periferia (“palla lunga e pedalare”), di viaggi in treno (verso la “Colonia” estiva) e di vacanze avventurose in clima da “guerra dei bottoni”. Narra di un bambino di dieci anni e della sua fretta di crescere. Narra non per nostalgia, ma per divertimento, per chi c’era già e si ricorda i dettagli e per chi è nato dopo e si diverte alla storia.
Paolini parla agli adulti ma anche all'infanzia, con toni scanzonati e suscitando genuine risate, ma senza trascurare il compito sociale della propria arte: lavora sulla memoria storica delle generazioni presenti, racconta la frammentazione o il riavvicinamento emotivo tra padri e figli, evoca analogie tra ora e allora. La sua capacità di unire inchiesta giornalistica e talento narrativo è straordinaria quando, per esempio, narra della colonia per ragazzi paragonandola ai CPT e ci dice sorridendo: “Non è difficile infliggere a degli immigrati ciò che prima hai inflitto ai tuoi figli”. Ma si capisce che è un pensiero greve.
La macchina del capo era la locomotiva del babbo, ma anche l'autoscontro “74 rosa” dello zingaro che parcheggiava gli autoscontri sulla pista in fiera, e ogni volta che arrivavano gli autoscontri era passato un altro anno per il piccolo Nicola che voleva fare il “fevvoviere”: aveva perso la “R” e veniva dalle valli prealpine... (www.jolefilm.it.)

Tito Tiberti


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