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 Nr.9 del 26/04/2010
 
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In questo mondo caotico e disordinato…
Ogni giorno il mondo ci mostra infiniti aspetti di pesantezza, opacità e inerzia. A volte spettacoli grotteschi privi di bellezza e di armonia

Il linguaggio, questa splendida facoltà che più caratterizza l'umanità, ci mostra ugualmente, in questa epoca, uno scenario fatto di pressappochismo, genericità, volgarità e disordine. Difficile non provare disagio e senso di estraneità rispetto all’inconsistenza del linguaggio, delle immagini e del mondo più in generale. C'è, insomma, una perdita di forma che è facile constatare in quasi tutti gli aspetti della vita. È per questo fatto che penso che forse la scrittura, o meglio l'amore per la scrittura, possa creare degli anticorpi: intelligenza e sensibilità, agilità e scioltezza. Se il mondo è caotico e disordinato, la scrittura può esaltare le qualità dell'ordine, dell'armonia, dell'equilibrio. Senza però che sia accompagnata da nessuna mistificazione: né sogni né illusioni.
La ricerca delle parole, con il suo tempo più lungo rispetto al percorso dei circuiti mentali, spesso fulmineo, induce ad un lavoro, lento e paziente, di costruzione della frase in cui ogni parola è insostituibile, alla ricerca dell'accostamento di suoni e di concetti più efficace e denso di significati. Si potrebbe parlare, penso, di felicità della scrittura. Concetto che mi piace perché sembra rimandare alla gioia che si può provare in un lavoro ben fatto. Nella riuscita ricerca di una espressione necessaria, unica, densa, concisa. Nella scrittura l'esistente prende forma. Acquista un senso. E, vivente come un organismo, può suscitare emozioni. In chi scrive. In chi legge.
Citando Calvino: «Il giusto uso del linguaggio per me è quello che permette di avvicinarsi alle cose con discrezione, cautela e attenzione, con il rispetto di ciò che le cose comunicano senza parole».

Oggi come ieri, ma oggi forse ancor più di ieri, ci vogliono cultura e saggezza per sopravvivere. Due linguaggi universali che stanno a significare, se non pace, almeno riposo. E dalle viscere delle quali sgorga il meglio e il peggio di ciascuno di noi. Cervo Zoppo (Wakan Tanka), capo di una tribù di Pellerossa dell'America settentrionale, voleva che tutti gli esseri viventi agissero in modo autonomo, secondo il loro essere, e obbedendo alle forze interiori. Ma solo gli esseri umani non sanno più perché vivono; non usano più il discernimento e la conoscenza. Dice Smohalla, un altro pellerossa, che «Gli uomini che lavorano sempre non hanno tempo per sognare; e solo chi ha tempo per sognare trova la saggezza». Ma noi, ahimè, tempo per sognare non ne troviamo proprio, tutti presi dal tentare di sostenere (e se riusciamo) mettere in pratica, i nostri valori. Sì, perché noi esseri umani coltiviamo valori. Sin dalla infanzia siamo incoraggiati a fissarci alcuni valori radicati. Chi coltiva i valori?: il desiderio o l'intelletto, non c'è dubbio. Pertanto essi sono illusorii, confortevoli, consolanti, nobili o ignobili a seconda dei propri pregiudizii.
Il fatto di nutrire dei valori, porta ad una (precisa) conseguenza: essi separano gli uomini e mettono gli esseri umani gli uni contro gli altri. I cosiddetti valori ingannano e la mente che li insegue, è una mente confusa. Sarebbe importante non avere alcun valore, ma vivere la vita con chiarezza, che non è un valore. È un fatto. Come dire: i valori sono idee. Noi dovremmo imparare a fare i conti con quello che è, giorno per giorno, con i fatti, dunque. Come fanno gli scienziati. E come si conviene a noi, che dovremmo essere (o diventare) scienziati della vita. Perché se non siamo tali, ci chiudiamo nei nostri ashram, chiese, partiti e via via, a difendere a spada tratta i nostri valori (o presunti tali), i nostri pregiudizî, facendo gli idealisti, inverando (cioè credendo di aver capito meglio) il poco scoperto da quelli che venivano prima di noi. In fondo era contro questa concezione della storia che si scagliava Leopardi quando ironizzava sulle «magnifiche sorti e progressive».
Io credo che, semplicemente, per vivere con chiarezza, ognuno di noi possa (o debba) metterci quello che ha: non c'è meglio e non c'è peggio: c'è quello che è. L'importante – o almeno così credo io – è avere il coraggio di modificare le cose quando si ritiene che vadano cambiate. Oppure modificate per errori commessi o per migliori possibilità di apprendimento. C'è un libro che tutti dovremmo leggere. Bellissimo. Quello su noi stessi. Che ciascuno scrive giorno per giorno con la vita. Per tutta la vita. È questo che ognuno di noi dovrebbe imparare a fare con somma maestrìa: perfezionare la capacità di «leggere quel meraviglioso libro che è noi stessi».
Già, il libro. I libri, perché? «Perché mi propongo con essi, e con il loro contenuto, di suscitare il desiderio e la curiosità del lettore, e che riescano a risvegliare in lui il desiderio di conoscere la storia». Lo scriveva Abu'l Hasan Ali Ibn al-Husain al-Mas'udi, nato a Bagdad, uno dei viaggiatori più informati di tutto il mondo medioevale. La "storia" della nostra vita, potremmo aggiungere noi.

Ermanno Antonio Uccelli


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