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Si dice che una lingua, per potersi mantenere viva, abbia bisogno di almeno due persone che la parlano affinché possa riprodursi. Ebbene, se ciò è vero, il caraita – come linguaggio – ha ormai gli anni contati.
Oggi esistono al mondo da quattro a seimila lingue vive. Ma non sono più di dieci le grandi lingue diffuse sul pianeta e non sono più di cinquanta le lingue parlate da almeno cinque milioni di persone. Ai tempi di De Gobineau, 150 anni fa, si pensava ancora che «la gerarchia delle lingue corrispondesse rigorosamente alla gerarchia delle razze», ma oggi siamo convinti che non esistano lingue ma solo lingue più articolate, con un livello più o meno ampio di standardizzazione, o adeguamento alla civiltà contemporanea; cioè con maggiore o minore ampiezza lessicale propria per esprimere cultura, scienza, tecniche e sentimenti. Il livello di standardizzazione, cioè adeguatezza e modernità di una lingua, dipende dalla vivacità e determinazione della intellighenzia del popolo che la parla.
A Trakai, in Lituania, a meno di 30 chilometri dalla capitale, Vilnius, si va per vedere il magnifico castello fatto costruire da Vytautas. Nel XIII secolo. Splendidamente posizionato in mezzo ad una natura straordinaria. La zona conta ben 200 laghi di varia ampiezza. Un posto fiabesco. Il castello è posto alla estremità nord del Lago Galvè.
Quando si risale dal pittoresco maniero verso il centro della tranquilla cittadina di poco più di 6 mila abitanti, in Karaimu gatvè, si incontra il Museo Etnografico Caraita. E la Kenessa: il luogo sacro di questo popolo. Che si spostò dalla Mesopotamia alla Crimea. Ma i Caraiti sin dall'VIII secolo, e dunque ben cinque secoli prima, si erano consolidati attorno a una precisa interpretazione dell'Antico Testamento.
È un movimento separatista ebraico. Una sètta giudaica. Si attiene alla lettera, alla Bibbia, ma rifiuta l'interpretazione talmudica. Insomma, riconosce solo la Legge scritta (Torah o Pentateuco), e nega ogni valore a tutto l'insegnamento della Legge orale, raccolta nel Talmud e nella Mishnah. Originaria di Baghdad (Iraq), sorse nella seconda metà del secolo VIII.
Era il 765. Si doveva nominare un nuovo esilarca (il capo degli Ebrei di Babilonia). Tale fatto diede origine ad un gruppo religioso dissidente dal giudaismo rabbinico. I dissenzienti sostenevano che la Bibbia va studiata indipendentemente da ogni tradizione. Questo va fatto perché se ne possa comprendere l'autentico significato. Si negava, in questo modo, ogni valore alla tradizione. Diventava importante la coscienza individuale e ci si sforzava di adeguare la Legge alla necessità dei tempi. Conservando tuttavia dinamismo e concretezza all'osservanza religiosa ebraica. A Babilonia, Anan Ben David si opponeva, con forza e determinazione, alla interpretazione che, della Torah, dava il giudaismo ortodosso. Diceva Ben David che le sacre scritture andavano lette senza nessun intermediario. Per questo il termine Caraiti si fa risalire all'ebraico qara'im, che significa "uomini della scrittura".
Vytautas era il Granduca di Lituania. Tornò dalla Crimea a Trakai. Nel 1397. Portò con sé 380 famiglie di caraiti. Esse si stabilirono nei dintorni del castello per poterlo difendere in caso di bisogno. E in più conservarono verso il Granduca un sentimento di riconoscenza, tanto che nelle case caraite si può vedere tuttora lo stemma di Vytautas, e anche perché, qui a Trakai, i Caraiti hanno sempre vissuto tranquillamente. E sono passati indenni attraverso le bufere dei nazisti. Che, su di loro, ovviamente, fecero fare degli studi. I quali decretarono le radici turche di questo popolo, e non ebraiche. Poi mandarono studiosi italiani. Essi fecero gli esami del sangue e stabilirono che questa etnìa non ha nulla a che vedere con gli ebrei. I sovietici furono un po' meno tolleranti. Durante il comunismo non li deportarono, però vietarono i loro riti. E anche la lingua fu bandita. A favore del russo. E proprio in quel frangente si produsse lo iato generazionale che ha messo a rischio la sopravvivenza del caraita. Una lingua turcofona che si adegua a qualsiasi alfabeto, dal latino al cirillico, all'arabo. Così alcuni di essi ricorsero all'espediente di insegnare, di nascosto, la lingua ai propri figli. Solo pochi, però. Moltissimi se n'erano già andati da Trakai in Polonia e negli Stati Uniti. Più tardi anche in Israele.
Oggi, in Crimea, da dove partì Vytautas, di Caraiti ne rimangono 250. Che però non parlano più la lingua. Fra Trakai e Vilnius sono poco più di duecento. A Trakai la lingua la usano i vecchi. Correntemente. Peraltro durante i riti essa è d'obbligo. Ma, con la mancanza di quella generazione di mezzo che potesse dare forza alla lingua, e ne trasmettesse la bellezza, il futuro è più che mai incerto. Anche perché una lingua rivela sempre l'indole del popolo che la parla poiché, nel manifestare il linguaggio, non si può ricorrere a dissimulazione alcuna, e pertanto la lingua è anche momento di precisa e profonda identità.
Nella Kenessa di Trakai uomini e donne pregano separatamente, rivolti verso sud. Il bianco delle mura è spezzato da ornamenti geometrici. In una grande sala adiacente, bambini caraiti intonano canzoni tradizionali. Accanto a questa, piccole sale sono adibite all'insegnamento della lingua. Il programma è sostenuto dalla Università svedese di Uppsala. Che, negli ultimi anni, sta facendo molti tentativi per conservare le tradizioni e la lingua dei Caraiti. Con molta difficoltà, perché l'ingresso in Europa della Lituania, il bisogno di parlare inglese, la voglia di conoscere altro, non si può certo dire che aiutino a fare stimolanti progressi.
Adesso è rimasto solo lui. Si chiama Aidar. Ha 8 anni. Unico bambino che sappia parlare la lingua caraita. Difficilmente ne cresceranno altri. Cosicché pare abbastanza improbabile che Aidar potrà parlare il caraita con qualche coetaneo. In tal modo la sua lingua sparirà. Assieme a lui. Che resta l'ultimo erede dei segreti di un popolo che sta scomparendo.
Ermanno Antonio Uccelli |