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 Nr.24 del 24/11/2008
 
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Imparare da Bisanzio?
In un paese che nel suo ceto dirigente opera secondo modalità che possiamo definire da molti punti di vista bizantine (basti ricordarsi La casta su cui ci ha resi edotti Gianantonio Stella con il suo fortunato volume di qualche tempo fa) lo studio della storia della parte orientale dell’Impero Romano dal 476 al 1453 è stato paradossalmente sempre negletto


  


Il primato dello studio del divenire storico della nostra penisola, della “Respublica christiana”, che ha avuto il suo epicentro in Roma, ha eclissato l’interesse per quello che rimaneva del corpo dell’impero della “Roma perenne” e che è solidamente sopravvissuto per molti secoli.
In questi ultimi anni pare si sia sviluppato un nuovo interesse per questo campo d’indagine. Segnaliamo in particolare la pubblicazione da parte dell’editrice Einaudi di due importanti volumi dal titolo Il mondo bizantino I e II (2007, pag. LXXXVI-512, Euro 75 e 2008, pag. LXXXII-584, Euro 80), che sono rivolti a chi sia interessato ad un serio approfondimento su un argomento come quello del destino dell’impero bizantino.

Vogliamo invece sottoporre all’attenzione dei nostri lettori un volume molto più accessibile, che unisce il rigore dell’indagine storica a una capacità narrativa e di invogliare alla lettura che gli storici non posseggono se non in alcuni casi particolarmente fortunati. Certamente le avventure della corte di Bisanzio e della classe dirigente bizantina presentano aspetti che offrono alla penna dello studioso facile appiglio per una descrizione di stampo impressionistico. Se infine lo storico in questione è uno fra i padri fondatori della bizantinistica francese e in qualche misura di quella europea a cavallo fra XIX e XX secolo, come fu Charles Diehl, tutto diventa più comprensibile. Il suo volume Figure bizantine (Einaudi, 2007, pag. 543, Euro 16.80) è un vero e proprio monumento a un modo di fare la storia che unisce rigore scientifico e spirito divulgativo e che non manca di un importante ed onesto riconoscimento dei limiti della disciplina storica, in qualsiasi forma si presenti. Infatti nell’ultima pagina del lavoro il Diehl si congeda dal lettore con le seguenti parole: “Ringrazio chi vorrà immergersi in questo mare di insensatezze stampate, con l’incerto allettamento di scoprire di quando in quando, per favore del caso, qualche perla sepolta fra le alghe”.
Proviamo anche noi a fare questo sforzo e a cercare, come ci indica l’autore, una o due perle, lasciando poi al lettore del volume di individuare fra le diverse figure che vengono sbalzate nel mezzo migliaio di pagine dell’opera gli aspetti che gli risulteranno di maggiore momento.
Come non partire da Teodora, la compagna di Giustiniano, la cui ieratica figura appare nell’abside di San Vitale a Ravenna e che è stata fin dalla malevola descrizione datane da un suo contemporaneo, lo storico Procopio della Storia Vera, argomento di una serie infinita di narrazioni dalle tinte rosa e dark. Diehl la restituisce a storia più plausibile presentandoci, senza infingimenti, una personalità complessa, nata nelle strade di Costantinopoli, spinta da un’ambizione infinta ad emergere e giunta, sposando l’imperatore, a detenere un immenso potere. Sua la capacità di districarsi fra i meandri della politica e della diplomazia di corte, sua la capacità il 18 gennaio 532, quando una rivolta popolare sembrava aver messo in forse il potere del sovrano, di ergersi a paladina dell’autorità del marito, spingendolo a non demordere, a mantenere la calma e a trovare gli strumenti per sedare i tumulti. Ben si comprende perché dopo la morte: “Giustiniano ne pianse amaramente la perdita che riteneva giustamente irreparabile…” . Anzi: “Coloro che volevano compiacergli gli ricordavano spesso e volentieri “l’eccellente, bella e saggia sovrana” che dopo tanto essere stata fedele collaboratrice in questo mondo, ora pregava Dio, nell’altro, per il suo sposo”. Forse si trattava di adulazione, ma in fondo sottolineava bene l’importante funzione di una donna, di quella singolare donna, in quella fase della storia di Bisanzio.
Nell’829 entra in scena un’altra Teodora, di origine anatolica e profondamente pia, moglie dell’imperatore Teofilo. Il regno di Teofilo fu breve e Teodora si trovò a gestire il potere come reggente al posto del figlio Michele III, un bambino di pochi anni. Teodora era profondamente devota al culto delle icone, su cui era stata combattuta una lunga di potere negli anni precedenti. La basilissa decise di rimettere in onore il culto delle icone, emarginando gli iconoclasti, e ne ricevette in cambio la canonizzazione da parte della Chiesa ortodossa. Non meno abile nella gestione della cosa pubblica, la sovrana al termine del suo mandato di reggenza era riuscita a rimettere in sesto le finanze dello stato e a stabilire una certa concordia in una corte sempre sconvolta da conflitti e perfide congiure. Non poté però resistere a lungo all’irresistibile processo di emancipazione del figlio Michele che, sempre più insoddisfatto del ruolo marginale in cui era tenuto, decise infine di sbarazzarsi dei ministri che circondavano Teodora e della stessa madre. Teodora finì la sua avventura terrena piamente chiusa in un convento a pregare, ma non del tutto liberata dallo spirito di vendetta contro chi l’aveva costretta ad uscire di scena.
Dopo queste due Teodore, il volume del Diehl ci presenta tutta un’altra serie di figure femminili che hanno fatto il mondo di Bisanzio, donne di potere, donne sconfitte nella loro ambizione di potere, donne che hanno scelto di vivere forme di spiritualità e perfino di ascesi, secondo i modelli proposti dalla Chiesa d’Oriente: Teofano, Zoe la Pofirogenita, Anna Dalassena, Anna Comnena, Irene Ducas, fino alle ultime principesse bizantine, spesso nobildonne d’occidente sposate con gli eredi al trono di Bisanzio come Berta di Sulzbach o Costanza di Nicea. Quello che alla fine emerge è un affascinante spaccato della realtà della condizione femminile nel Mediterraneo orientale cristiano che ci mostra come la realtà umana della donna sia sempre stata più sfaccettata di quello che una vulgata manichea è solita presentare.
Diehl certo non dimentica di offrirci una serie di ritratti di principi; si tratta di altre pagine esemplari, ma forse più scontate, da Basilio il Macedone fino all’ultimo sfortunato imperatore, quel Costantino XI che dovette cedere di fronte alla superiorità delle forze di Maometto II, morendo fra le mura del suo impero sommerso dalla marea mussulmana.
Sarà proprio il mondo femminile però ad attirare il lettore, avvincendolo in una avventura plurisecolare carica di glorie e di tragedie, che nel suo articolarsi ha profondamente segnato il destino di tutte le genti che sono vissute sulle diverse sponde del Mediterraneo.

Giulio Toffoli


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